Just Me, Myself and I

Feelings

Postato il 30 Dicembre 2007 in Just Me, Myself and I
..."Shatzy tornò a casa che erano le cinque del mattino. Quando andava a letto con qualcuno, poi detestava dormirci insieme. Era ridicolo, ma trovava sempre qualche scusa e se ne andava.
Si sedette sui gradini, senza entrare. Era ancora buio. C'erano rumori strani, rumori che di giorno non si sentono. Come briciole di cose che erano rimaste indietro, e adesso si davano da fare per raggiungere il mondo, e arrivare puntuali all'alba, nel ventre del rumore planetario.
C'è sempre qualcosa che si perde per strada, pensò.
Devo smetterla, pensò.
Finire nel letto di uno che non hai mai visto prima è come viaggiare. Lì per lì è tutta una gran fatica, anche un po' ridicola. E' bello dopo, quando ci ripensi. E' bello averlo fatto, andare in giro il giorno dopo, pulite e impeccabili, e pensare che la notte prima tu eri là a fare quelle cose e a dire quelle cose, soprattutto a dire quelle cose, e a uno che non vedrai mai più.
Di solito non li vedeva mai più.
Devo smetterla, pensò.
Non si finisce da nessuna parte, così.
Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Trovare la tua strada. Andare per la tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita davanti, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto. Magari mi iscrivo in palestra, pensò. Ce n'era una lì vicino, che era aperta anche di sera. Perchè mi piace fare tutto di sera? Si guardò le scarpe, e i piedi nudi nelle scarpe, e le gambe nude sopra i piedi, fino al bordo della gonna, corta. Le calze, autoreggenti di seta, le aveva appallottolate nella borsa. Non riusciva mai a rimettersele, quando si alzava dal letto per rivestirsi e andarsene. Era come ricaricare le pistole dopo un duello. Stupido. [...]
Pensò di rientrare, e di andare a dormire. Ma alla luce dei lampioni si vedeva la roulotte, immobile, posata nel giardino, un po' meno gialla del solito. Una volta alla settimana la lavava per bene, anche i vetri, e le gomme, tutto. A furia di vederla lì, ogni giorno, per mesi, era diventata un pezzo del paesaggio, come un albero, o un ponte su un fiume. Shatzy lo capì tutto d'un colpo, in quel buio da notte agli sgoccioli, con le calze da puttana appallottolate nella borsa: immobile, luccicante, gialla: non era più qualcosa che aspettava di partire. Era diventata una delle cose che hanno compito di rimanere, tenere ferme le radici di un qualche pezzo di mondo. Le cose che, al risveglio o al ritorno, hanno vegliato per te. E' strano. Ci si va a cercare marchingegni incredibili per farsi portare via lontano, e poi li si tiene accanto con un amore tale che lontano, prima o poi, diventa lontano anche da loro.
Stronzate, è solo questione di trovare una macchina, tutto lì.
Non si poteva fare a meno di una macchina. Le roulotte non vanno avanti da sole.
Avrebbero trovato una macchina, tutto lì.
E sarebbero andati via lontano.
Sembra un albero, pensò. Sentì salirle dentro una cosa che non le piaceva, la conosceva e non le piaceva, era una specie di lontano rumore di disfatta. Il segrato, in quei casi, era non lasciarle il tempo di venir fuori. Era urlare così forte da non sentirlo più. Era mettersi un paio di autoreggenti nere, uscire da casa, e finire nel letto di uno mai visto prima.
Già fatto, pensò. Così optò per una versione a squarciagola di New York, New  York."...

Tratto da City, di Alessandro Baricco
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